Fantascanna

Sangue e Arena, 2019 e oltre

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view post Posted on 16/9/2019, 16:28
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colui che tutto move, per l'universo penetra e risplende
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Prologo

Nel suo accampamento il Generale sedeva silenzioso.

Solo, al centro del cerchio di tende che erano state disposte dalle milizie, meditava su quali sarebbero dovute essere le prime delicatissime mosse di quella maestosa e delirante danza che da lì a poco avrebbe strabiliato il mondo.

Nei suoi pensieri, profondi e ancora non rimarginati, due squarci, due dolorose ferite lo torturavano: la perdita dei suoi due più fedeli e antichi compagni, la Tempesta di Sarajevo e Maurito, il vecchio e il giovane, la saggezza e la passione.
Avevano deciso di andare via, avevano fatto la loro scelta, abbandonando la nave nel pieno della burrasca. Uno era tornato fra le braccia stritolanti e malsane del suo antico torturatore. L’altro, preda delle malie di una sensuale incantatrice, era fuggito via verso Lutèce in un dorato e volontario esilio.

Il dolore era grande, inaccettabile, ma i suoi uomini adesso avevano bisogno di lui. Il Sergente e il giovane Andaluso conducevano le truppe con coraggio. Faouzi “il tagliagole algerino” e Sami del Giardino delle Giumente avevano mostrato di avere ancora tanto da dare e di attendere solo che lui li animasse come un tempo, per riconquistare la scena che gli competeva, per riprendere a scrivere l’emozionante storia che a lungo avevano condotto.

Non c’era più tempo per i rimpianti e il dolore: era infine giunta la cruenta ora della pugna.

Era trascorso più di un anno dall’epica battaglia svoltasi sul campo dietro al mulino abbandonato, nei pressi della Terrasanta.
Quell’epico scontro aveva lasciato segni indelebili sulla pelle dei contendenti. I vinti erano rimasti desolati e a lungo avevano pagato le fallaci strategie adottate, i vincitori avevano condotto i loro eserciti alla vittoria, all’esaltazione, all’epopea. ALLA GLORIA!

Ma, infine, era nuovamente giunto il momento in cui, in una Babilonia di imprecazioni e sangue, in un girone infernale traboccante sofferenza e patimento, tutti gli schieramenti si scontrassero nell’epica e spossante competizione che li attendeva inesorabile al trascorrere di ogni anno.

Per molti mesi si erano affaccendate le migliori maestranze dei cinque continenti per realizzare l’arena “del Piccolo Natante” all’interno della quale lo scontro avrebbe avuto luogo: imponenti fabbri nubiani coi loro magli avevano percosso con possanza sulle loro incudini di fianco ai silenziosi e polverosi laboratori dei più acclamati e accurati scalpellini siculi, valenti manovali pellerossa avevano issato la magnificente struttura fianco a fianco ai ceramisti provenienti dalla lontana provincia del Sichuan e ai silenti intarsiatori maori delle isole della Polinesia.
Fino all’ultimo aveva aleggiato il timore che l’Arena, costruita sul leggendario podere su cui si diceva che tutti i cavalli perdessero i loro ferri, potesse non essere disponibile. Ma l’intervento provvidenziale della legione dei “Rapidi Reziari” aveva permesso che il Campo di Battaglia fosse terminato, garantendo che anche i due temerari Condottieri Longobardi e il folkloristico Presidentino, residente nella fredda Hibernia, potessero calcare la calida terra dell’Arena.
I contendenti avevano, quindi, potuto raggiungere il luogo della contesa e ciascuno aveva potuto installare il proprio accampamento.

Da sud il caldo e avviluppante Turello già minacciava di scatenare il suo rancido soffio, un vento che, si diceva, provenisse da chissà quali putribondi inferi e che infestava le sedi delle battaglie da anni, quasi fosse una mesta ma inevitabile tradizione.

Erano ancora una volta tutti riuniti: i ruvidi insensibili e gli abbronzati judogi, gli arabi urlanti e i miagolanti attaroni, i rosanero peppiani e i gialloverdi coronati, i fedeli in abiti cerimoniali.

E poi le due turbe festanti per i trionfi conquistati.

Con il sole alle spalle, incedendo con eleganza nelle loro divise azzurre bordate di nero e oro, gli Ambrosiani seguivano il loro giovane e spavaldo generale, novello Alessandro Magno, che in poco tempo si era guadagnato il rispetto di tutti i contendenti, arrivando a conquistare da subito il più ambito dei traguardi: la Clausura. L’alfiere, che tutti riconobbero come il fiero Pavoloso ferito ma orgogliosamente al fianco del suo generale, portava la Primera Tela: un austero gonfalone a strisce verticali nere e azzurre, incorniciato da una filigrana dorata, che recava al centro l’immagine di un severo volto barbuto, con cimiero cornuto, e di un biscione con gli aguzzi denti in bella mostra.

E poi, come sempre accadeva quando un evento prevedeva la presenza del tristemente famoso individuo, l’epica lasciò il posto alla farsa, la compostezza degli Ambrosiani venne contrapposta alla sconclusionata accozzaglia di corpi e strani arnesi messa in scena dai giullari Portuguesi.
Arrivando al galoppo sul suo ronzino color malva, lo sconclusionato saltimbanco, Kristiano Gütto III il Nero, recava con portamento maldestro una lunga pertica che agitava furibondo, alla quale, però, non era appeso alcun drappo cerimoniale. In corsa sui loro destrieri, cercando di raggiungerlo e di celarne l’ennesima figuraccia, la Tempesta e i Gemelli di Partenope portavano a braccia e distesa al vento la Segunda Tela, trofeo spettante a vincitori della Sacra Giostra dei Libertadores. Su uno sfondo suddiviso in quarti contrapposti blu e granato era ospitato un rapace con le ali spiegate nell’atto di ghermire un giglio viola stilizzato.

Piantati gli stendardi ai bordi del campo, anche i due ultimi contendenti presero posto intorno al Campo di Battaglia, ricevendo le loro picche che, come da tradizione, venero infilzate nei cuori di lupo disposti di fronte alla postazione assegnatagli.

Nel silenzio dell’attesa, tutti gli uomini preparavano le loro armi, accarezzavano il dorso delle loro cavalcature per mantenerle calme e pronte al turbinio che li aspettava, si guardavano intorno, in attesa di vedere se tutti gli schieramenti avrebbero mantenuto la loro composizione o se qualcuno avrebbe abbandonato le fila in cui era schierato, per andare a consolidare le forze di un avversario.
L’aria bruciava di tensione, i primi mormorii si alzarono.

Nulla era più come sembrava, trame segrete e coraggiose azioni avrebbero arrossato il Campo di Battaglia.

L’attesa stava finalmente giungendo al termine.

Nel silenzio innaturale che si era formato, il Tocco si era issato in piedi sulle staffe della sua sella preparandosi a infervorare la sua torma per scatenare la prima furente carica.

Era giunto il momento della battaglia.

Destatevi anime, il momento è giunto.
 
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Més que un club
view post Posted on 16/9/2019, 18:45




Io avrei detto che la Tempesta di Sarajevo, il “Liberato”, Generalissimo Plenipotenziario del Presidentissimo era sfuggito ad anni di prigionia e restituito alla libertà dall’azione decisa e nerboruta del suo Padre e Presidentissimo
 
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view post Posted on 16/9/2019, 18:53
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view post Posted on 23/9/2019, 13:25
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caporalmaggiore "pani ch'i cazzilli"

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Mitico Fabio!😂😂😂😂
 
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